mercoledì 15 dicembre 2010

Besos

Oggi compio un anno. Nel senso che esattamente dodici mesi fa iniziava la mia avventura dominicana.
Una delle prime cose che ho imparato, e a cui mi sono abituato, è che le donne si salutano sempre con un bacio. Rigorosamente uno solo, rigorosamente sulla guancia destra (ossia a sinistra per chi bacia, al contrario delle nostre abitudini, e all'inizio non è raro cioccare, ossia scontrarsi andando nella stessa direzione).
Gli uomini invece no. Mai. La stretta di mano è la regola (con le differenti varianti che la cultura afroamericana ha importato anche qui), in alcuni casi è ammesso l'abbraccio, ma non troppo stretto e caloroso, quasi uno sfiorarsi un po' di lato dandosi una pacca vicendevole sulla spalla. 
Bando alle effusioni.
Il machismo impera.

lunedì 11 ottobre 2010

Girano le palle

Ieri pomeriggio ero seduto in terrazza.
Dalla strada mi arriva il classico e fastidiosissimo rumore delle palline clic clac.
Penso a un dejavú, e invece no. Pare che da ste parti siano in voga tra bambini e ragazzi.
E sono le stesse che facevano furore da noi negli anni 70 (e che poi furono vietate perché pericolosissime per i polsi), e non la moderna e sicura riedizione con le stecche di plastica.
Manca solo che imparino a cammnare trascinando e sbattendo il tacco degli zoccoli simil-dottorscholls, e dalla mia terrazza mi teletrasmetto automaticamente sul balcone di Corso Manfredi, in un assolato e afoso primo pomeriggio d'estate, aspettando di andare a Radio Manfredonia Centro per il quotidiano programma di musica rock (il pomeriggio - per ragioni a me tuttora sconosciute - non si andava in spiaggia, e quindi si era costretti a dormire, nonostante il caldo bestiale e - appunto - i fastidiosi rumori provenienti dalla strada; io, che da buon milanese non avevo sonno, combattevola noia e l'afa con la musica).
Colonna sonora "Sotto il segno dei pesci" - a proposito di suoni fastidiosi - proveniente dalla vicina sala giochi.


PS Un premio per chi mi dice il nome del burbero venditore ambulante di zoccoli, pianelli e altre cose da spiaggia che stava nella discesa della Stella

venerdì 17 settembre 2010

Nessun congedo

Hola, buenas, buen dia, que tal, como te sientes, como está todo, como tu tá, kelo ke hay, KLK, …
Ci sono tanti modi per salutare, in Repubblica Dominicana.
Formale o confidenziale, elegante o volgare, ognuno ha il suo modo, molto spesso più di uno, a seconda dell’occasione.
Il più comune e trasversale è “saludo”. Si usa incontrandosi ma soprattutto entrando in un negozio, ufficio, guagua e cosí via.
Mi ha favorevolmente colpito notare che generalmente il dominicano è abituato a salutare: è una buona regola di buona educazione.
Proprio per questo mi ha negativamente colpito notare che invece generalmente non è abituato a salutare nell’atto di congedarsi, ossia quando esce dal negozio, ufficio, guagua e così via.
Anche molti dei miei colleghi dell’agenzia escono dall’ascensore o dal mio ufficio o dalla cucina senza salutare.
Io invece uso il ciao, che mi qualifica come italiano non pentito, e che tra l’altro ho scoperto essere particolarmente cool tra i dominicani più cool – quelli che qualcuno chiama simpaticamente “come mierda” ;)))
Altrimenti utilizzo i classici hasta luego, nos vemos, adios, etc., o formule più cortesi come “que pase un buen dia”, “que tenga buenas”, “que la pase bien” o in caso di amici/amiche il diffuso “cuidate” (che non ha un corrispondente italiano – gli inglesi direbbero “take care” – e la cui risposta corretta è “igualmente” o “igual”).
Epperò come dicevo gli altri generalmente non si congedano.
Raramente un babai (bye bye), la forma più diffusa.
Se no niente.
All’inizio mi dava fastidio, poi mi è sembrato di capire che non sia tanto questione di educazione quanto di cultura locale, di abitudine consolidata.
Mah. Approfondirò.
Quello che invece mi dà veramente fastidio è quando mi rispondono “ooochei”.
Cacchio significa?
OK che cosa?
Io dico arrivederci e tu rispondi OK?!
Ma per piacere.
Spesso mi rispondono OK pure quando dico “grazie”. A Cuba non ho mai avuto problemi: puntualmente ricevevo un de nada o por nada di risposta. Qui invece mi capita che mi rispondano “a su orden” in aberghi, banche, negozi (“a su orden” è anche un modo di rispondere a telefono, in questi casi); se no niente o – per l’appunto – mi becco un “ok”.
Immaginate il dialogo. Io esco dal barber shop dopo essermi fatto la barba: “gracias, adios”.
E il barbiere “OK”.
:(
La mitica doctora Cira, che ho scelto come mio medico qui, mi congeda sempre nello stesso modo.
Io le dico “adios doctora” e lei col suo vocione burbero e roco risponde immancabilmente “te quiero”.
Ma lei è cubana.

giovedì 9 settembre 2010

No entiendo

Ad oggi sono 9 mesi che vivo nella Repubblica Dominicana, e ci sono ancora cose del vivere quotidiano che non comprendo (e altre che non comprendo e mi danno i nervi).
Certo, il tempo aiuterà a conoscere e capire sempre di più, ma il tempo serve anche ad abituarsi, assuefarsi, accettare magari passivamente ciò che invece colpisce, stupisce, a volte indigna il nuovo arrivato.
E se da un lato questo è normale ed anche auspicabile per una migliore integrazione, convivenza e sopravvivenza, dall’altro vorrei fare in modo di mantenere un punto di vista terzo, laico, da esterno; che magari riconosce e comprende ciò che vede e gli accade, anche quando raro, ma non per questo lo archivia automaticamente come normale, accettabile e ineludibile.
Il rapporto con la basura (monnezza) è un esempio, forse il più lampante. Buste di spazzatura buttate per strada, ad ogni angolo, davanti ad ogni casa, perché dicono che così è abituato il dominicano, e se mettono i cassonetti se li rubano. Epperò in questo modo si nutrono cucarachas e ratones (grandi anche come conigli), le strade puzzano, camminare a piedi diventa un camel trophy.

Gli apagones (vedi altro post) sono un altro esempio: buona parte della città convive con i blackout programmati, da tot ora a tot ora a seconda della zona. Pare che sia una vendetta contro gli allacci clandestini e le bollette non pagate: che importa se così si punisce indiscriminatamente tutti, anche e soprattutto quelli che la luce la pagano (e salata!) ma che non si possono permettere un costoso generatore. Provate a pensare quanto può dare fastidio (per usare un eufemismo) vivere nella turistica e costosa Zona Colonial, e stare sabato e domenica senza luce per dodici ore di fila, e per varie settimane di seguito – quando proprio nel weekend potresti dedicarti alla lavatrice ed altre faccende domestiche.
Sono soltanto due esempi (potrei continuare, con questioni anche più gravi, come la crescente mancanza di sicurezza o la egualmente crescente corruzione) delle cose di questo Paese che non comprendo, che credo si potrebbero risolvere con uno sforzo non enorme, di buona volontà se non addirittura di buon governo, e che invece sono e continuano ad essere così, se non peggio.
Perché solo poche isolate voci si levano a segnalare e protestare, mentre la maggioranza della popolazione accetta passivamente, subisce sconsolata; tanto è inutile, fa caldo e non vale la pena sforzarsi.
Non vorrei essere frainteso: se vivessi nel terzo mondo, in un villaggio di case di fango con tetto di foglie di banano, comprenderei e non avrei molto da protestare. Ma questo è un Paese civile, avanzato anche se si definisce ancora in fase di sviluppo, ma che nel frattempo si vanta dei suoi progressi e in molti casi si propone come modello per l’area.
Io vivo in una metropoli di oltre 3 milioni di abitanti, dove ci sono più jeepetas/SUV che in Italia (come ho raccontato in altro post), dove l’affitto mensile di un appartamento di 2 camere in una torre (i lussuosi grattacieli che spuntano come funghi) costa anche 2500 dollari, dove si contano più mall/centri commerciali che a Roma o Milano (e qui IKEA ha deciso di aprire il primo store di tutto il Sudamerica), dove certo le contraddizioni e i contrasti sono tanti, ma questo non può bastare a spiegare e giustificare tutto quello che non va.
I politici sono corrotti, i funzionari pure, la polizia non ne parliamo. Questo spiega le cose che non funzionano, questo mi dicono sempre tutti, dal tassista al costruttore, dal colmadero al giornalista, dal barbiere al direttore creativo.
E la cosa incredibile è che non si tratta di vox populi: la notizia è riportata tranquillamente dai media, anche da quelli più paludati e filogovernativi, senza che però ciò determini una rivolta o – che so – per lo meno lo sdegno generale.
Tempo fa per esempio mi è capitato di leggere su un giornale i risultati di un’indagine condotta da Gallup (serissima società internazionale): “las cinco instituciones consideradas como las más corruptas en el país son los partidos políticos (52.5%), la Justicia (49.8%), la Policía (44.6%), el Congreso (40.9%), y la Dirección de Prevención de la Corrupción (33%)”. Il che la dice tutta. Se chi controlla è compare del controllato siamo a posto.
L’esempio della Colombia, i progressi per molti versi incredibili (e non solo di facciata) compiuti da Antanas Mockus e dai successivi sindaci di Bogotà, che hanno cambiato radicalmente e positivamente la capitale potrebbero, secondo me dovrebbero ispirare un cambio di direzione, una svolta epocale e davvero progressista.
E non vale dire che il Paese non è pronto, che il popolo bue non capirebbe.
È il solito alibi di comodo, di chi preferische che tutto rimanga com’è perché com’è è come gli conviene.

domenica 15 agosto 2010

16 Agosto

Foto da http://ny.remezcla.com
Ero in taxi, di ritorno da un colloquio con un’agenzia di pubblicità, e come sempre faccio guardavo fuori dal finestrino. Anche se è lo stesso tragitto che ho fatto mille volte c’è sempre uno squarcio, un volto, un gesto, un cartello, insomma algo interessante o curioso.
Erano i miei primi mesi in Capitale, e quindi cercavo anche agli incroci i nomi delle strade per tentare di memorizzarli nella mia mappa mentale. Un esercizio in frustrazione, a dire il vero, visto che già dai tempi dei boy scout mi resi conto di non possedere alcun senso dell’orientamento (genetica, direi, se penso ai giri in tondo di mio papà sul Raccordo Anulare ogni settembre romano, alla ricerca dell’uscita giusta per la Cristoforo Colombo e i Tre Pini), e visto soprattutto il fatto che da tanto la mia memoria ha deciso di lavorare poco, e ricordare solo quello che vuole lei, random, senza distinguere tra cose belle o brutte, vecchie o nuove, importanti o insignificanti. Non è stato un processo graduale di degrado: semplicemente a un certo punto ha smesso di funzionare come prima, anche se mi sfugge l’esatto momento in cui è successo. :))
Per evitare il prevedibile tapon dalle parti della Mexico con Duarte, il choffer scelse un percorso alternativo verso casa, che scendesse al Parque Independencia. Fu così che scoprii la Calle 16 de Agosto.
Il fatto che a Santo Domingo avessero deciso di dedicare una strada (non bellissima, ok, ma centrale) al mio genetliaco mi inorgoglì non poco, confermando l’impressione di stare vivendo nel posto giusto.
Naturalmente le ragioni erano ben altre, come mi spiegò il choffer parlandomi di una data storica importante per la indipendenza della Repubblica.
Ho quindi appreso che il 16 Agosto del 1863 (esattamente cento anni prima che io comparissi) un gruppo di patrioti diede inizio alla Guerra de la Restauración, per riportare la giovane repubblica sotto la sovranità dominicana, dato che due anni prima il generale Santana – primo presidente costituzionale – aveva improvvidamente firmato un patto di riannessione alla Spagna. La Corona Spagnola avrebbe poi definitivamente abbandonato l’isola nel 1865, restituendo la Repubblica Dominicana ai patrioti che tanto avevano lottato per l’indipendenza.
Il 16 agosto è quindi il Día de la Restauración, e tutto il Paese si ferma a festeggiare.
Con una certa e certamente immeritata fierezza, celebrerò anche io i miei 47 anni.

venerdì 30 luglio 2010

Colmado

foto da travelblog.org
Nonostante la diffusione di supermercati e ipermercati, il colmado resta un punto di riferimento fondamentale per i dominicani. Al colmado si trovano generi alimentari, ghiaccio, acqua (quella del rubinetto non è potabile), succhi, refrescos (cola e sode varie dai colori e gusti spesso improbabili), detersivi, condom, una pillola per il mal di testa o per la resaca (il dopo sbornia), una tarjeta (ricarica) per il cellulare, le sigarette, e così via.
La varietà dell’offerta cambia a seconda delle dimensioni e caratteristiche del colmado, che a volte propone anche un po' di frutta, ortaggi, carne, e pure sandwiches. Se è grande, si chiama supercolmado o colmadon.
Ma al colmado si va anche per bere una fria (birra) o un superalcolico (Il classicissimo ron oppure il uicki, come lo chiamano qua, venduti in bottiglie dalla mignon alla magnum) magari in compagnia, seduti sulle sedie di plastica dentro o fuori. E quindi diventa un luogo di socializzazione, soprattutto se ha una radio, uno stereo o un juke box che manda musica e/o video a tutto volume, e se ha uno spazio adatto per ballare.
Il vantaggio del colmado è che è comodo, perché ce n’è sempre uno vicino casa, vende anche sfuso (una sigaretta, una libbra di zucchero o di burro), è aperto tutti i giorni fino a tarda sera, e consegna a domicilio (in mancanza di campanelli o citofoni, parte l’urlo “colmado!”, uno dei primi suoni che ho imparato a conoscere in Repubblica Dominicana dopo il merengue e l’assordante antifurto delle auto, che parte col clacson e poi segue con altri tre o quattro allarmi in successione – un autentico strazio: non appena imparo come si fa lo registro e lo posto).
La mia fidanzata, che è una tipa precisa, mi ha insegnato che qualunque cosa si compra al colmado - bottiglie, lattine, etc. - va lavata con acqua calda (per chi ce l'ha) per proteggersi dalla leptospirosi, dato che lo stoccaggio delle merci non sempre avviene in locali propriamente igienici, e i ratones sono alquanto frequenti da queste parti :(( 
Pensavo fosse una precauzione eccessiva, fino a quando non ho visto in tv un’intervista al Ministro della Salute che raccomandava vivamente la stessa cosa, e ho dovuto regolarmi di conseguenza pure io.
Il che vuol dire anche - ahimé - rinunciare alla birrozza servita dal colmadero bien fria.
Bueno, più che rinunciare, diciamo limitare.
Eccheccà... :)
foto da acoste.net

venerdì 18 giugno 2010

Falsi amici

Credo sia capitato a tutti, nella vita. Praticamente impossibile evitarli, anche con tutte le dovute accortezze.
L'esperienza insegna, è vero, epperò il nemico è sempre dietro l'angolo, pronto ad ingannarti.
E allora parliamone.
Italiano e spagnolo sono lingue molto simili, hanno una radice comune, ed è quindi facile incontrare parole che si somigliano, e che hanno lo stesso significato. Questo aiuta molto nella comprensione (quando non parlano a trecento all'ora) ed ovviamente nell'apprendimento.
Il problema è che proprio per questo uno magari si rilassa, si "allarga", e rimane stupito e interdetto quando incappa in quello che comunemente si chiama "falso amico" (false friend in inglese), ovvero quei termini che in spagnolo sono uguali o simili ad altri italiani, e che invece hanno un significato completamente diverso.
Il caso secondo me più eclatante è quello di aceite, che in spagnolo significa olio (!) e non aceto, come si sarebbe naturalmente portati a pensare (l'aceto invece si chiama vinagre).
Rimanendo nel food, non vi arrischiate a chiedere in albergo a colazione dev'è il burro, perché significa asino; meglio optare per mantequilla.
Non vi dico la mia faccia quando a Cuba un cameriere mi servì un Cuba Libre e mi chiese se volevo un asorbente; mi è stato poi spiegato che trattavasi di cannuccia, e mi sono tranquillizzato.
Gli esempi sono tanti: la salida è l'uscita, la tienda è il negozio (mentre invece negocio indica l'affare, il business), il vaso è il bicchiere, largo significa lungo. E così via.
Ci sono anche casi curiosi: esposar in spagnolo vuol dire ammanettare, e probabilmente una ragione ci sarà.
Poi ci sono i termini spagnoli che magari non somigliano al corrispondente italiano, ma sono identici nel mio dialetto. Questi sono veri e propri amici: basti citare l'esparadrapo (cerotto o nastro adesivo per fermare i bendaggi) o il montòn, che è il mucchio (il che mi ricorda un urlo/richiamo comune nella mia infanzia: "u' mundon!") o ancora escampar, che si usa quando la pioggia si ferma, ossia quando scampa, per l'appunto.
Mi fermerei qui, ma non posso proprio chiudere senza citare il caso più eclatante e divertente di corrispondenza tra foggiano e spagnolo (spagnolo caraibico per quel che so, ma accetto correzioni).
A Cuba scoprii che il pene si chiama pinga, e ho riso come un cretino per almeno un'ora (mentre la giovane mi guardava con stupore ed un certo raccapriccio).
Le ragioni di questa incredibile coicidenza linguistica mi sono tutt'ora ignote.
Ogni contributo (serio e costruttivo) è il benvenuto.  :)

venerdì 11 giugno 2010

Noche

Avenida Venezuela, foto da www.dr1guide.com
A Santo Domingo la noche è decisamente caliente, come non è difficile immaginare.
Alla gente piace divertirsi, ascoltare musica e ballare, il tutto accompagnato da abbondante birra e ron. Succede nei colmado (i nostri “alimentari”), ma anche nelle vie o nelle piazze: basta un’auto con casse potenti, un frigo portatile e vai.
Ovviamente la città è piena di ristoranti, bar, locali, discoteche di ogni tipo.
Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le tasche.
Ci sono le caffetterie normali e i lounge bar più trendy (frequentati da ricchi bianchi o ricchi anyway), le trattorie e i ristoranti internazionali (compresi i tantissimi italiani), le discoteche popolari e quelle degli hotel o comunque da fighetti (dove spesso la selezione all’ingresso è rigida, e non entri se – per citare un ridicolo esempio – porti scarpe da ginnastica). Ci sono i locali gay, quelli alternativi, il karaoke, i nights, insomma tutto quello che ti immagini di trovare in una capitale da 3 milioni e mezzo di abitanti.
L’elenco non è esauriente e non vuole esserlo, solo racconterò – magari in vari post – le esperienze curiose o comunque interessanti.
Io mi trovo meglio nei posti popolari, che non se la tirano, purché ovviamente siano tranquilli.
La sicurezza è importante, considerato il tasso alcolico medio e la diffusione di armi in questo Paese (sarebbero vietate, ma di gente che gira con la pistola ce n’è tantissima).
Diciamo che la sicurezza è una variabile determinante in ogni senso da queste parti, ma il discorso merita trattazione separata.
Mi piace andare nei locali dove si suona musica tradizionale o jazz (non molti, purtroppo), oppure nei disco bar ad ascoltare i dj set spesso raffinati e aggiornatissimi.
Non disdegno i colmadon o i liquore store, dove tra sedie di plastica e casse di birra rovesciate si beve e si balla merengue, bachata, salsa e reggaeton. Caratteristico anche il car wash, autolavaggio di giorno e discobar di notte.
Per ballare mi piace la “Venezuela”: una strada lunga e larga, parecchio trafficata, diciamo pure convulsa, dal giovedì in poi. Trovi un po’ di tutto, e puoi spostarti da un locale all’altro provando differenti stili e ambienti, dal basico al trendy.
La prima volta è stato uno shock.
Non ho mai visto una tale concentrazione di belle ragazze in vita mia. E credo di aver girato abbastanza.
Non è solo che siano belle, tirate e profumate, è che sono davvero tante. Provando a fare una mano di conti, direi che almeno il 70% sono belle, e una buona percentuale di queste ti fa girare la testa.
Soprattutto negras, morenas, mulatas, indias, chinas e mescolanze varie ma, di qualunque colore e sfumatura, maledettamente belle e sexy.
I dominicani sono – generalmente e con le dovute eccezioni – gente amable, ed è quindi possibile in una discoteca o discobar avvicinare una ragazza ed invitarla a ballare senza beccarsi un’occhiataccia o una risposta sdegnosa. La buona educazione e l’intelligenza suggeriscono di chiedere il permesso in presenza di accompagnatori, magari evitando ceffi poco raccomandabili. Certo influisce il fatto di essere stranieri e bianchi, ma insomma le cose di norma si svolgono in maniera abbastanza easy.
Io mi diverto a vedere quell’impunito dell’amico mio – ballerino fenomenale – che sceglie la bellissima preda e l’invita a ballare. Lei accetta non senza una certa compassione verso il temerario straniero bianchiccio, della serie “sei sicuro? guarda che io ballo sul serio, rischi una figura di merda…”. Dopo i primi passi, puntualmente, si gira a guardare gli amici con tanto di occhi, a dire “coño, pero como baila ese muchacho!”.
Ogni volta, stessa scena.
Subito dopo il ballo, se vale la pena, scatta la chiacchiera con immancabile passaggio del numero di cellulare.
Finirà bene? Ci sarà quimica tra i due?
Quien sabe.
Speriamo solo che lei abbia un’amica carina.
E che magari mi insegni pure a ballare.

lunedì 7 giugno 2010

Bigodini

Per le dominicane stare "in ordine" è assolutamente fondamentale.
Difficile incontrare la sera in giro per locali una chica, una mujer che non sia curata e profumata.
Per questo la preparazione prima della salida (uscita) è lunga e laboriosa.
E andare anche più volte a settimana al salon peluqueria o coiffeur, come già detto in altri post – è un must. Forse per questo ce n’è una valanga.
Quando non si può ci si arrangia a casa, e quando i capelli non sono in ordine si esce coi bigodini (magari per andare a far la spesa). Ma è molto più comune (quanto orripilante) la retìna, portata con assoluta disinvoltura sia in casa che per strada.

giovedì 27 maggio 2010

Un giorno in clinica

Vivo qui da troppo poco tempo per dare un'opinione ponderata e complessiva del sistema sanitario dominicano. E poi - grazziaddio - sto abbastanza bene.
Però posso riportare le mie prime impressioni, e poi magari riprenderemo l'argomento.
Mi avevano detto, e avevo letto, che in Repubblica Dominicana la sanità pubblica non è proprio un granché, e che conviene affidarsi alle cliniche private.
Io non so come sia la sanità pubblica: ho solo accompagnato una sera al pronto soccorso la mia meravigliosa novia, che non si sentiva bene, ed effettivamente sì, l'ospedale è vecchiotto; ma più di questo non posso dire.
Invece ho avuto a che fare con le cliniche private.
Mi sono fatto il mio seguro medico, perché senza assicurazione mi hanno spiegato che non conviene stare.
Il mio piano costa circa 30 euro al mese, e mi copre l'80% di tutte le spese (anche per le medicine).
Ho quindi scelto una clinica, una grandicella tra le centinaia che sono qui in Capitale, soprattutto a Gazcue, il bellissimo quartiere pieno di alberi non lontano dalla Zona Colonial, e sono andato a consulta da un dottore
(da qualche tempo mi fa un po' male la schiena).
Niente di che, mi fa lui dopo la visita, però visto che ci siamo facciamo un bel checkup completo. Analisi del sangue e delle urine, ecografia, radiografia, tac.
Mi dico: adesso comincia il bello. Sai che rottura.
Invece, da non credere.
Ho fatto tutto in un giorno. Il giorno stesso.
Tutto.
E l'indomani avevo tutti i risultati.
Quelli delle analisi sono arrivati online, nella mia area privata del sito del laboratorio (così li può consultare anche il mio medico italiano...).
E cioè qui funziona che uno va in clinica, chiede di fare una tac, paga 8 euro (il prezzo di una bottiglia di vino decente, per capirsi, 70 euro se non ha il seguro), gli fanno la tac all'istante, e dopo mezz'ora ha il risultato.
Poi, sempre nello stesso reparto, si sposta a fare la sonografia. Mentre mi faceva l'ecografia, la doctora mi mostrava tutto sul mio monitor, e alla fine mi ha consegnato il referto e il dvd con la registrazione.
Ora, io non posso esprimere giudizi sul livello di preparazione della classe medica dominicana.
Ma i tempi e i livelli dell'assistenza sono di eccellenza.
E non è - tanto per chiarire - solo roba da paperoni.

domenica 23 maggio 2010

Un nome, una garanzia

Qua le pillole contro la disunzione erettile si vendono in farmacia senza prescrizione alcuna. E come tutte le medicine, è possibile comprarle anche sfuse.
Vanno molto di moda anche tra i giovani, molti le prendono come fossero aspirine per fare bella figura.
Alle marche più conosciute e leader di mercato in tutto il mondo (che qui costano meno) si affiancano preparati locali, alcuni dei quali è possibile comprare anche al colmado (alimentari) e che si pagano circa 1 euro a pillolozzo, anche meno se c'è l'offerta speciale :)
I più comuni sono Erec-F, Elevex (...), Viga, , La Pela (v. sopra una elegantissima pubblicità...).
Ma il mio preferito è quello sotto: il solo nome mi fa impazzire. :)))))

venerdì 21 maggio 2010

Capelli

Abbiamo già accennato al salon, dove le dominicane passano molto tempo per lavare, stirare, tingere, tagliare, allungare (le extension qui vanno alla grande), intrecciare, acconciare (etc.) i capelli. Oltre che per chiacchierare, ovvio.
C'è addirittura chi ci va quasi tutti i giorni ma, claro, dipende dalle finanze e dal tempo a disposizione. Ad ogni buon conto è difficile che si esca per un appuntamento se non si è perfettamente a posto, linde e pinte. 
Anche gli uomini hanno il loro barber shop, e devo dire che faccio una certa fatica a spiegare il tipo di taglio che voglio: basti vedere questo poster per farsi un'idea.
Ah, non credo che abbiano pagato i diritti per le immagini di Leonel, Obama etc.  ;)

mercoledì 19 maggio 2010

Transporte Publico

I trasporti di Santo Domingo sono un esempio - uno dei più paradigmatici - di come vecchio e nuovo convivono qui in Repubblica Dominicana, dei contrasti spesso stridenti di un Paese ancora in (forse perenne?) desarollo, ma per alcuni versi giá ben cresciuto e sviluppato.

La voladoras (foto) è senza dubbio il mezzo di trasporto pubblico più diffuso in Capitale.
Il nome di questa guagua si deve alla velocità di crociera, ragion per la quale c'è qualcuno che la chiama el terror sobre ruedas, anche per le precarie condizioni del mezzo e la conseguente mancanza di sicurezza (per clienti e pedoni). 
In pratica è un pulmino, più o meno malridotto ma certo non nuovo, che segue un giro fisso, e che si ferma ogni volta che qualcuno vuole salire o scendere. Viaggia con la porta laterale aperta, e il cobrador (colui che cobre, ossia che fa pagare, il bigliettaio se volete) si sporge fuori per urlare le tappe principali del tragitto e conquistare così nuovi clienti tra i passanti. Quando ne trova uno, batte con la mano sul tetto della guagua, e il conducente si ferma. Idem quando si vuole scendere: basta urlare cobrador, dejame (lasciami) e lui avvisa allo stesso modo l'autista.

Un'alternativa è il carro publico, una vecchia auto che anche in questo caso segue una ruta fissa e si ferma quando necessario. Qui c'è ovviamente meno spazio della voladora, il che non sempre significa meno passeggeri: si viaggia 4 dietro e 2 sul sedile davanti, con il terrore che salga la ciotta o il ciotto che ti riduce in una polpetta sudata. Si paga direttamente al choffer (pronuncia "cioffér"), il quale in marcia fa un segno con la mano sinistra fuori dal finestrino a rappresentare la ruta.

Gli autobus pubblici veri e propri sono quelli dell'OMSA (Oficina Metropolitana De Servicios De Autobuses). Sono meno numerosi, fanno tragitti molto più lunghi , e spesso - grazziaddio - hanno l'aria condizionata. Sono certamente più sicuri di voladoras e carri pubblici, ma purtroppo in certe zone non passano proprio.

Dalla fine del 2008, inoltre, Santo Domingo è dotata di una linea di metropolitana.
Il Metro collega il malecon (lungomare) a Villa Mella, popoloso quartiere a nord, in un tragitto di 14,5 km con 16 fermate (10 della quali sotteranee).
Si tratta della prima delle 6 linee che fanno parte del nuovo sistema di trasporti di Santo Domingo, presentato dal Governo presieduto da Leonel Fernandez .
Treni nuovi e con aria condizionata (senza, pare rimasta solo l'Italia), stazioni pulite e sicure (almeno per ora, sembra), biglietto con card ricaricabile a quote popolari.
L'accoglienza dei dominicani è stata entusiastica, ma non sono mancate le polemiche sull'utilità di investire ingenti capitali (prestati dall'estero) in questo tipo di opere piuttosto che nella sicurezza o nell'educazione, e i dubbi di quanti ritengono che magari sarebbe stato utile prevedere un sistema di trasporti verso e dal metro onde evitare che i treni viaggino semivuoti (ad oggi, 30% della capacitá).

Chiudo questo lungo post (sorry) parlando dei taxi e dei motoconcho.
Compagnie di taxi in capitale ce ne sono a bizzeffe.
Ce ne fosse una che ti manda il taxi nei minuti che ti dice a telefono.
Va beh, lasciamo stare.
Di taxi ce ne sono nuovi e vecchi, puliti e zozzi, con e senza aria condizionata.
Quando si chiama conviene specificare che si vuole un taxi confortable y con aire. O se no un amarillo, ossia un taxi giallo, di quelli nuovi.
Per evitare sorprese, si può chiedere in questo momento alla centrale la tarifa per il percorso previsto (meglio), altrimenti si tratterá direttamente col chofer: il tassimetro qua non esiste, non c'è un cacchio da fare.
I prezzi non sono altissimi ma neanche bassi, e in genere non si va sotto i 150 pesos (3 euri). Altro discorso se si va in località turistiche. Tariffe alle stelle, si paga in dollari.
Bisogna sempre sperare, quando ci si muove di notte, che il taxi non prenda una delle tante buche - spesso voragini - e parta la gomma: se sei in una zona poco sicura ti va bene se ti lasciano in mutande.

Per risparmiare ci sono i motoconcho, ossia i taxi su moto. Spesso capita di vedere i dominicani andarci in tre. Un classico.
Il motoconcho è certo più economico del taxi, ma anche ovviamente meno sicuro, considerando lo stile di guida barbaro e prepotente degli automobilisti.
Ha poi due controindicazioni, a mia esperienza.
La prima è lo smog che tocca respirare. E qua l'attenzione all'ambiente non è certo una priorità: le macchine e i camion cacciano un fumo nero pazzesco, e non glie ne frega niente a nessuno.
La seconda è se il motoconchista non si è lavato molto bene. :-(

Padre Prio a Santo Domingo

La Repubblica Dominicana è fortemente cattolica (oltre il 90% della popolazione secondo le statistiche), anche se non mancano altre confessioni cristiane e - in alcune zone interne e nelle comunità negre - pratiche animiste (woodoo e macumba), magari mischiate grossolanamente al culto dei Santi e delle Madonne.
Davanti alla chiesa dedicata alla Virgen de las Mercedes (patrona della Repubblica Dominicana), nella Zona Colonial, ho trovato una statua dedicata a Padre Pio.
Il fatto di trovare un Santo delle mie parti mi ha dato una certa emozione, soprattuto considerando che la figura ricurva del Padre di Pietralcina si riconosce inconfondibile dai balconi di casa mia
L'emozione è stata maggiore quando ho letto la iscrizione dietro alla statua: "Con devocion, Familia Maruotti, Foggia, Italia".  

Occhi belli

Oggi ho vinto la timidezza nel fotografare i tanti volti volti interessanti che incontro.
Gli occhi di questa meravigliosa bambina meritavano un ritratto.
La splendida nonna 93enne mi ha dato il permesso e lei si è messa in posa.
Credo non ci sia bisogno di aggiungere altro, se non che domani o magari oggi stesso se riesco le porto le stampe.

domenica 16 maggio 2010

Election Day con coprifuoco

Oggi nella Repubblica Dominicana si vota per il rinnovo delle amministrazioni locali e del Congresso (deputati e senatori).
Non si vota invece per la Presidenza della Repubblica.
Leonel Fernandez - rieletto il 16 agosto (...) del 2008 - sta tranquillo ancora per due anni.
Nella foto lo si vede nel corso di una manifestazione del suo partito - PLD, Partido de la Liberación Dominicana - in compagnia della Primera Dama Margarita Cedeño. Il presidente è quello di profilo col cappellino viola, il colore del PLD assieme al giallo, come si vede del resto dalla elegante tenuta della gentile signora.
Lo so che non é chiarissima, ma la foto l'ho scattata al volo sotto casa mia mentre passava la parata. Accontentatevi. Se volete immagini migliori del Presidente e della Primera Dama basta googlare un po'. ;)
Ieri sera per ordine del Governo bar, e locali in genere hanno dovuto chiudere a mezzanotte.
Mi hanno spiegato che è normale: serve a combattere l'astensionismo, che si attesta intorno al 30%.
Si va a letto presto, non ci si mbriaca, e il giorno dopo tutti a votare belli lucidi e riposati. 
Per questo motivo molti locali non hanno aperto proprio, e Santo Domingo di sabato notte era insolitamente spettrale.
Per fortuna abbiamo trovato un paio di discobar aperti dove tirar tardi. 
Mi era già successo il Venerdì Santo: tutti ma proprio tutti chiusi tranne qualche raro colmadon (grande colmado, v. post a riguardo), comunque deserto.
Non so se in virtù di questa sorta di coprifuoco - o se volete castrazione del divertentismo - l'astensione dal voto sarà effettivamente più bassa.
Da noi quando ci sono elezioni e c'è la bella stagione la tentazione è quella di andare al mare (qualcuno ricorderà l'invito di Craxi nei primi anni 90). 
Dando uno sguardo alla capitale, stamani, mi sa che in molti hanno ceduto, nonostante i probabili acquazzoni (mes de mayo, mes de agua).
Quasi quasi cedo pure io e vado in spiaggia: che mi frega, io non voto...

Aspetta.
Piove.
Governo ladro! :D

giovedì 13 maggio 2010

Apagones

Qui come del resto a Cuba e a Porto Rico (i Paesi vicini che ho avuto modo di visitare) i cavi della luce e del telefono sono volanti, e spesso per strada devi scansare fili appesi e staccati, che non promettono niente di buono.
I grovigli sono pazzeschi, e non invidio i tecnici che ogni tanto si devono arrampicare per aggiustare un trasformatore o rimediare a un accrocchio.
Credo che la foto (scattata nella strada di casa mia) renda l'idea.
Non mi chiedete cosa sono quei bidoni perché sto ancora cercando di scoprirlo. Il problema è che qui (come a Cuba, scusate per i riferimenti continui ma non posso evitarlo) ognuno ha una sua teoria, spesso articolata e fantasiosa (se non leggendaria), mai concordante, e non di rado si aprono dibattiti sul perché e sul percome - e devo dire che quando uno ha tempo e pazienza è anche gradevole assistere e perché no partecipare al dibattito, anche se non ne capisci un cacchio, tanto non ne capisce un cacchio nessuno.
Frequenti - anche in questo caso come a Cuba - sono gli apagones, ossia i blackout.
Sul perché capitano ci sono varie scuole filosofiche, gnoseologiche ed epistemologiche.
Sicuramente La Repubblica Dominicana non ha i problemi di bilancio statale che ha Cuba, quindi è difficile credere ci siano motivi economici. Secondo alcuni l'energia prodotta è addirittura superiore al fabbisogno, quindi proprio non capisco. Soprattutto se penso quanto cara è la bolletta della luce.
Mi limito a constatare che gli apagones capitano anche qui nella Zona Colonial (nei quartieri periferici e popolari capita praticamente ogni giorno, a volte ad orari fissi), e se uno non ha il generatore - inversor o planta full, a seconda delle finanze - tocca stare ore senza luce, ventilatori, aria condizionata, internet, radio, tv, e colla roba nel freezer che comincia a scongelare.
Se fa caldo - e fa caldo sovente - e la luce non torna per tutta la notte, il tuo letto diventa praticamente un sudario, hai voglia a spalancare finestre e balconi, serve a niente.
Ma non solo: se non c'è luce non funziona manco il salon, il parrucchiere, e allora la chica con la quale avevi appuntamento ti darà buca
Perché se non può arreglar el pelo - sistemare il capello, attività che richiede tra le tre e le otto ore, comprendendo anche le extensions, il trucco e le uñas acrílicas (v. foto) - non si sentirà abbastanza bella, e allora dieci a uno che non verrà.

mercoledì 12 maggio 2010

Yipetas y cocina con leña


Secondo una ricerca del 2007 (ultimi dati disponibili), in Repubblica Dominicana ci sono 604.215 motociclette, 299.260 auto, 83.479 yipetas (jeep o SUV), 100.335 camionetas (pickup) e 108.223 veicoli di altro tipo.
Lo stesso studio rileva come in 265.067 case si utilizza ancora la legna per cucinare (10,4% della popolazione), mentre 2milioni di famiglie usano gas propano (78,9%).
Cifre che riporto per dare la dimensione di un Paese per molti versi modernissimo, per altri indietro.
Considerato un paese povero, eppure pieno di ricchi (i grattacieli e le yeepetas di Santo Domingo sono di gran lunga superiori a quelli di Milano).
Un paese fatto di contrasti, e forti, come spesso avviene da queste parti e in genere nei cosiddetti paesi in via di sviluppo.
Ci ritorneremo: il discorso è lungo.

Tapones

foto dal blog http://divariandoenlared.wordpress.com 

Santo Domingo è una metropoli. Molto estesa, anche perché le costruzioni alte non sono molte (i grattacieli hanno cominciato a crescere da 10 anni a questa parte, gli edifici tradizionali sono case a un piano), e quindi la città è cresciuta tantissimo negli anni.
Le distanze sono enormi, e gli spostamenti non semplicissimi.
I dominicani non sono propriamente dei guidatori diligenti ed ordinatissimi, i passaggi da una corsia all'altra - tanto per dirne una - sono repentini (per evitare una buca enorme, per un sorpasso, una Presidente di troppo o anche semplicemente per rimettersi in marcia dopo una sosta), con tutto quel che ne consegue.
Come in qualsiasi grande città bisogna abituarsi ad avere a che fare con i tapones, gli ingorghi frequenti negli orari di punta, ma purtroppo non solo.
Fondamentale, in questo caso, l'aria condizionata in macchina, se si vuole evitare una sauna.

Tutti (tutti) suonano il clacson.
A lungo, insistemente.
Non serve a niente, ma non possono proprio trattenersi.
Non serve a niente perché qua si fermano in mezzo alla strada per far scendere una persona, o per imbarcarne un'altra, o ancora per caricare la spesa. E non gli passa manco per la capa che dietro tutti stanno pitando (suonando il clacson): ci si prende il tempo che serve, con serafica e indifferente calma.
La stessa calma con la quale sostano sotto casa mia, col motore acceso e l'aria condizionata a palla, in attesa (lunga, data la cronica dilatazione dei tempi) di qualcuno che deve arrivare. Il fatto che il fumo dello "scappamento" e la puzza entrano dalla mia finestra non li tange: la sensibilità per l'ambiente e l'inquinamento è molto poco diffusa, se non praticamente assente.
Ma i dominicani sono - generalmente - amables. Una volta, alle 7 del mattino - svegliato nel bel mezzo di un sogno in cui ero con Calindri nella pubblicità del Cynar - sono sceso di casa tra il furioso e l'assonnato e ho cosí individuato la fonte del mio inbubo e del prematuro risveglio: una vecchia ma elegante berlina Lincoln con un distinto signore sulla cinquantina, intento a leggere il suo libro; motore acceso, finestrini chiusi, climatizzatore a palla, in attesa di chissà chi, magari nessuno, piú probabilmente un diplomatico o manager da portare in ufficio.
Gli faccio toc toc, abbassa il finestrino, gli dico che el humo del motor llega hasta mi cama, mi risponde disculpe, ya està apagado, e spegne.
Un signore. O, per lo meno, una persona amable.
Se solo imparassero a spegnere il motore quando stanno parcheggiati li amerei di piu.

lunedì 10 maggio 2010

Trasero

Il sedere delle dominicane è prominente, una sorta di marchio di fabbrica, e per questo anche i manichini si sono dovuti adeguare. :))
Agli uomini dominicani in genere piace il trasero bello grosso; significativo, diciamo. Ognuno ha i suoi gusti, da questo punto di vista, e preferisco non addentrarmi in disquisizioni filosofiche a riguardo.
Solo annoto che questo atteggiamento lordotico (decisamente piacevole alla vista) porta con sé un'altra faccia della medaglia, ossia gli addominali prominenti, che nella maggioranza delle dominicane significa trippetta, se non propriamente panza.
Decisamente meno piacevole alla vista.

domenica 9 maggio 2010

Ahorita

Qua i ritmi sono generalmente rilassati (non parlo di musica).
Siamo in Latinamerica, Tropici, Caraibi, insomma fa caldo e la vita va un po' più a rilento.
Anzi, no. Non è esattamente così.
La verità è che hanno i loro tempi, non serve mettere fretta, a volte è estenuante (soprattutto con la burocrazia, manco a dirlo) ma altre volte sono insolitamente rapidi (efficienti è un altro paio di maniche): ho portato un jeans dal sarto dietro casa e dopo mezz'ora era pronto l'orlo (2 euri).
La cosa importante è non fare programmi quando ti viene detto "nos vemos ahorita".
Ahorita - o anche horita - può essere mezz'ora, un'ora o due o quattro, o può anche essere nunca: mai.
Non è infrequente che il tecnico dell'aria condizionata ti faccia stare tutto il giorno in casa ad aspettarlo e poi non viene nonostante al cellulare ti ripeta che arriva horita.
O che tu passi il pomeriggio a preparare una cena speciale per una ragazza e dopo un'ora di ritardo rispetto all'orario dell'appuntamento la chiami e lei ti dice candidamente che ha avuto un problema (mal di testa, mal di gola, apagon, salon cerrado, mamma o nonna o figlio malati), e che però horita viene, e si presenta a mezzanotte.
Insomma, ahorita è un concetto astratto, indefinito ed estremamente pericoloso.
Dal quale però è difficile sfuggire.

Nella foto, il Reloj del Sol (1753), che si trova davanti al Museo della Casa Reale, nella Ciudad Colonial. L'ho fotografato in modo che si vedano le due facce: una per le ore della mattina, l'altra per il pomeriggio. Se interessa posso pubblicare altre info e foto. Però non subito. Ahorita.

Zapatos colgados en los cables

Non si sa bene se nasce in Spagna e poi arriva in Latinamerica o - più probabilmente - il contrario. Sta di fatto che l'usanza di appendere le scarpe ai fili della luce o del telefono è comune anche nelle strade di Santo Domingo.
Secondo i più, serve a segnalare che in quella zona si spaccia droga.
Alcuni mi hanno detto che serve invece a ricordare uno spacciatore o un delinquente ucciso dalla polizia (...).
Secondo altri la droga e la polizia non c'entrano niente, e si fa semplicemente per goliardia o per festeggiare qualcuno che ha fatto i soldi e si è comprato un bel paio di scarpe nuove.
L'unica cosa certa è che Federico Moccia ha dichiarato la sua totale estraneità ai fatti.

Quindici anni

La fiesta de los quinces è una vera istituzione in latinamerica. Di derivazione spagnola, è la speciale festa di compleanno che celebra l'ingresso in società della Quinceañera, che da bambina diventa donna.
In Repubblica Dominicana a volte coincide con un vero e proprio Baile de Debutantes, ed ovviamente varia a seconda delle finanze della famiglia della quindicenne.
Mi è capitato spesso di incontrare nella Zona Colonial di Santo Domingo Quinceañeras che realizzavano servizi fotografici e video, con i loro bellissimi abiti colorati e pieni di veli.
In questo caso la ragazzina era un po' sovrappeso, e le coetanee sedute sulla panchina del Parque Colon non si esimevano da commenti divertiti.
Il cane, invece, non ha affatto pensato di interrompere la siesta.

El Conde

La Ciudad o Zona Colonial è sicuramente la parte più caratteristica e turistica della capitale. Non vi aspettate grandi cose, ma una visita la merita senza dubbio.
E il cuore della Zona Colonial è la Calle El Conde, la lunga via pedonale che collega il Parque Colon, la verde ed ombrosa piazza della Catedral Primada de America, con il Parque Independencia (che è si un parco ma è soprattutto un'antica fortezza militare che ospita anche l'Altare della Patria).
Il Conde è pieno di negozi di ogni tipo, bancarelle, qualche bar (pochi in verità), fast food, pizzerie, hotel.
Molto frequentato fino a tarda sera sia da dominicani sia da turisti.
Questi ultimi com'è ovvio vengono continuamente (ma non ossessivamente) invitati ad acquistare souvenir vari, sigari, cd musicali, quadri, magliette, bottiglie piene di erbe spacciate come viagra naturale.
Non è raro trovare gruppi di dominicani che giocano a scacchi (vicino all'hotel Mercure), a dama o a domino, su tavolini improvvisati o sulle panchine.
Le belle dominicane (di qualunque età e colore) sorridono ai coloriti piropos (complimenti) degli uomini, e non di rado rispondono divertite.
Da quando sono arrivato a Santo Domingo vivo praticamente nel Conde, ma nonostante questo non devo essermi ancora liberato della mia connotazione di straniero/gringo, dato che ad ogni angolo continuano indefessamente a propormi "Taxi taxi".
Spiegare che abito dietro all'angolo non serve: come per tante altre cose, ho imparato ad arrendermi.

venerdì 7 maggio 2010

Sole, mare, belle donne...

Vivo da un po' di tempo in Repubblica Dominicana.
Il sole, il mare, la spiaggia, le palme, le belle donne, la musica, il ballo, ...
Certo, la Repubblica Dominicana è questo, ma è anche tante altre cose. Alcune piacevoli, altre meno. Com'è normale che sia.
Tanto per cominciare vivo e lavoro a Santo Domingo, che è la capitale della Repubblica Dominicana.
Una metropoli di oltre 2milioni di abitanti, caotica e incasinata come sa essere una capitale del Caribe. Dove c'è il mare ma non si fa il bagno, dove certo fa caldo tutto l'anno, ma magari pure troppo, dove spostarsi non è facile per via dei "tapones" - gli ingorghi che ti rendono impossibile arrivare puntuale ad un appuntamento - dove insomma si può vivere bene ma trovando il giusto equilibrio e adattamento.
Il blog nasce per raccontare questa esperienza di vita ai Tropici, perché in questi mesi mi sono reso conto che ci sono tante cose da riportare. Interessanti, curiose, magari divertenti oppure no. Ma che vale comunque la pena di raccontare.
Se a qualcuno interesseranno beh, questo è un altro discorso. :)
Buon viaggio.